I casi di licenziamento senza giusta causa sono piuttosto frequenti e per questo motivo l’ordinamento legislativo italiano ha creato un’apposita tutela a scopo risarcitorio a favore dei lavoratori che subiscono tale trattamento.
In questo articolo verranno spiegate le modalità di richiesta dei danni pecuniari all’ex datore di lavoro o il reintegro all’interno dell’azienda.
Tutela risarcitoria e tutela integrativa o reale
Anche se entrambe vengono regolamentate dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, presentano delle sostanziali differenze:
- Tutela Risarcitoria: prevede un risarcimento a vantaggio del lavoratore che ha perso il posto di lavoro in maniera illegittima nel momento in cui non può/vuole accettare il reintegro presso il suddetto.
Il risarcimento assume un carattere riparatorio per via della dignità lavorativa perduta e solitamente ammonta alla retribuzione non guadagnata.
In più, la perdita illegittima del lavoro può avere anche delle conseguenze psicologiche che non gli consentono di accettare il reintegro all’interno dell’impresa, basti pensare al mobbing che potrebbe subire una volta rientrato, il quale lo porterebbe a sua volta a presentare delle dimissioni volontarie. - Tutela Integrativa o Reale: non è altro che una sanzione giudiziale riguardante il reintegro nel luogo di lavoro, che può avvenire quando il giudice accerta la non sussistenza dei fatti contestati che sono scaturiti nel licenziamento.
Entità del risarcimento per licenziamento
L’entità del risarcimento è commisurata alla tipologia di licenziamento subita dal lavoratore, per esempio:
- Licenziamento con vizio di forma: prevede un minimo di due mensilità ed un massimo di dodici e corrisponde ad una retribuzione mensile per ciascun anno di lavoro;
- Licenziamento discriminatorio: parte da un minimo di cinque mensilità e prevede tutte quelle che il lavoratore ha perso durante il periodo in cui gli è stato impossibile lavorare;
- Licenziamento senza giusta causa: la somma risarcitoria percepita dal lavoratore è di massimo dodici mensilità ed è pari a quelle mai percepite.
Nel caso in cui l’azienda abbia meno di quindici dipendenti, non supera invece le sei mensilità e sarà pari ad ogni anno di lavoro.
Nota bene: alla somma complessiva del risarcimento bisogna poi decurtare le mensilità corrispondenti al periodo in cui il lavoratore abbia esercitato la sua professione presso altre imprese.
In più, se il giudice dimostra che il lavoratore abbia avuto la possibilità di essere assunto presso altre società e non le ha accettate, il risarcimento può altrettanto subire delle riduzioni.
Al risarcimento retributivo può essere aggiunto quello per i danni subiti, a patto che i suddetti possano essere dimostrati davanti al giudice.
Il Decreto Dignità
Il Decreto Dignità prevede, in caso di licenziamento illegittimo, il risarcimento del lavoratore da parte del datore di lavoro pari a due mensilità dell’ultimo stipendio per ogni anno di lavoro.
L’indennità risarcitoria non è soggetto a contribuzione previdenziale e corrisponde a minimo sei mensilità per un massimo di trentasei.
Secondo la legge n. 183 del 10 dicembre 2014, comma 7 dell’articolo 1, vi è la possibilità di reintegro del lavoratore all’interno dell’azienda se il licenziamento è avvenuto per motivi economici e, in questo caso, è previsto un indennizzo monetario che cresce insieme all’anzianità di servizio.
Il reintegro è invece previsto solo per i licenziamenti di natura discriminatoria, i licenziamenti nulli o quelli disciplinari ingiustificati.
Licenziamento ingiusto: come difendersi
Qualora il lavoratore ritenga ingiusto il suo licenziamento, ha la possibilità di presentare ricorso per far valere le sue ragioni, ma quali passi deve muovere?
Il primo passo è quello di sottoporre il caso ad una commissione di conciliazione presso la sede della direzione provinciale del lavoro a cui il datore comunica il licenziamento.
Già da questa fase il lavoratore può richiedere l’assistenza di un avvocato (clicca qui per un preventivo avvocato gratis e online), il quale sarà capace sia di districarlo dall’enorme ginepraio giudiziale, sia di fornirgli tutta la tutela di cui necessita.
Se in fase di conciliazione le parti non trovano un accordo che soddisfi entrambe, si passa alla fase giudiziale, la quale richiede necessariamente l’intervento di un legale esperto di diritto del lavoro per via delle numerose regolamentazioni.
Durante il giudizio, il lavoratore viene considerato la parte debole e deve dunque solo dimostrare l’effettiva esistenza del rapporto di lavoro più il licenziamento, mentre il datore di lavoro deve documentare che quest’ultimo sia avvenuto per giusta causa o giustificato motivo.
La riforma Fornero
La riforma Fornero ha però ridotto le modalità di difesa da parte del lavoratore in differenti casistiche, ecco quali:
- Licenziamento ingiusto: se è di natura discriminatoria (razza, sesso, orientamento politico, orientamento sessuale), verrà considerato nullo.
Il lavoratore potrà dunque essere reintegrato in azienda e gli verrà riconosciuto un indennizzo indipendentemente dal numero di dipendenti. - Licenziamento per giusta causa: qualora si riveli illegittimo poiché il fatto non sussiste o il lavoratore non meritava il licenziamento, quest’ultimo può essere reintegrato in azienda se la suddetta ha oltre 15 dipendenti o 5 se appartiene al settore agricolo.
Inoltre il giudice può condannare il datore di lavoro a pagare un risarcimento fino a 12 mensilità. - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: può verificarsi quando il datore di lavoro è costretto a licenziare i dipendenti per via di problemi economici dell’impresa.
In questo caso al lavoratore non spetterà il reintegro, ma un risarcimento pecuniario di massimo 24 mensilità.